Il Processo Ai Chicago 7
La pellicola narra del processo ai cosiddetti Chicago Seven, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver cospirato per causare lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago in occasione delle proteste al convegno del Partito Democratico.[1]
Il processo ai Chicago 7
Nell'agosto 1968 Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Tom Hayden, Rennie Davis, David Dellinger, Lee Weiner, John Froines e Bobby Seale si preparano a protestare al convegno nazionale del Partito Democratico di Chicago. Cinque mesi dopo, tutti e otto vengono arrestati e accusati di aver incitato alla rivolta. John N. Mitchell, il procuratore generale, nomina Tom Foran e Richard Schultz come procuratori, mentre tutti gli imputati, tranne Seale, sono rappresentati da William Kunstler e Leonard Weinglass. L'avvocato di Seale non può partecipare poiché è ricoverato in ospedale, il che porta il giudice Julius Hoffman a insistere che Kunstler rappresenti tutti e otto gli imputati, proposta che viene ripetutamente respinta sia da Kunstler che da Seale. Il giudice mostra un significativo pregiudizio a favore dell'accusa e inizia a rimuovere i giurati sospettati di simpatizzare con gli imputati, accusando inoltre gli imputati e i loro avvocati di molteplici oltraggi alla corte. Al processo vengono chiamati a testimoniare numerosi agenti di polizia locale sotto copertura e vari agenti dell'FBI.
Ciò si evince in particolare dalla vicenda di Bobby Seale, spesso considerata una semplice prefazione al vero e proprio processo ai Chicago Seven, a partire dal settembre del 1969: convinto di essere stato coinvolto in un processo che non lo riguarda, non avendo nulla a che fare con gli altri imputati, come capro espiatorio perfetto in quanto uomo di colore, per sei mesi il leader delle Pantere Nere chiede di essere giudicato separatamente, venendo ripetutamente accusato di oltraggio alla corte; solo dopo essere stato legato, imbavagliato e percosso, il giudice comprende di aver superato il limite e, per evitare ulteriori scandali, accoglie la sua richiesta, seppur ricordandogli che avrebbe dovuto rispondere di ulteriori accuse.
È così che Aaron Sorkin con Il processo ai Chicago 7 prende in prestito un episodio sanguinoso della storia degli Stati Uniti per mostrare la guerra civile americana che perdura dal 1776: un Paese che trova la sua unione solo nella retorica dei morti, in questo caso quelli della Guerra del Vietnam, ma che non possono far pensare alla prima pagina del New York Times sulle migliaia di vittime da COVID-19.
Il processo ai Chicago 7 che ricostruisce il nuovo film di Aaron Sorkin con Eddie Redmayne e Sacha Baron Cohen, su Netflix dal 16 ottobre 2020, si inserisce nel contesto degli eventi del 1968 quando il movimento contro la guerra del Vietnam preparava quello che sarebbe dovuto essere uno degli appuntamenti più importanti fra le proteste sociali che attraversano gli Stati Uniti, dalle lotte per i diritti civili alle istanze antiautoritarie sorte nelle università .
Gli imputati in tutto erano otto e non mancarono i cronisti che fecero notare la corrispondenza con gli otto anarchici mandati a processo quasi un secolo prima a Chicago per i fatti di Haymarket Square, sette dei quali giustiziati.
In appello, nel 1972, molte delle accuse caddero, anch'esse in seguito a quelle che furono ritenute forzature del giudice federale Julius Hoffman; tuttavia anche per le imputazioni di cui gli imputati furono riconosciuti colpevoli il nuovo giudice decise di evitare loro il carcere. Il processo stesso si era tramutato nello specchio delle contraddizioni che proprio i movimenti di protesta avevano portato allo scoperto in quell'anno di lotte nel quale erano nel mirino l'imperialismo, le discriminazioni, l'autoritarismo, ma anche la narrativa che regge i luoghi comuni della società borghese. Il processo ai Chicago Seven si trasformò a sua volta in uno specchio che svelava come la giustizia potesse diventare uno strumento politico e gli imputati capri espiatori per l'intimidazione e repressione di un movimento intero al di là dei singoli chiamati alla sbarra, non molto diversamente da quanto avvenuto ottanta anni prima ai martiri di Chicago. Veniva portato allo scoperto anche il labile confine che separa il diritto alla parola e all'espressione dall'incriminazione per una qualche violazione dei codici penali; la tutela dell'ordine pubblico dalla brutalità ; e la protesta dalla rabbia sociale.
Sorretto da un cast corale (in cui spicca tra gli altri Mark Rylance, Joseph Gordon-Levitt e Michael Keaton), il film narra del processo ai cosiddetti Chicago Seven, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver cospirato per causare lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago in occasione delle proteste alla convention del Partito Democratico.
I sette condannati furono assolti nel processo di appello nel 1972, dove venne riconosciuta anche la parzialità del giudice Hoffman che nel film è interpretato da Frank Langella. Gran parte degli imputati continuarono con il loro impegno politico e da attivisti, dopo che il processo li aveva resi noti in tutto il paese.
I Chicago Seven affrontarono il processo in maniera diversa: Hayden cercò di rimanere impassibile mentre Rubin e Hoffman continuarono a provocare il giudice e la corte in ogni modo possibile.
Il processo appariva talmente sbilanciato che molti intellettuali americani si unirono per formare un comitato che informasse la popolazione delle gravi ingiustizie al processo ai Chicago Seven.
Al di là di un mero discorso artistico, Il processo ai Chicago 7 (2020) di Aaron Sorkin merita ogni parola possibile per la vicenda di cui tratta; gettando così un occhio critico sul processo-farsa che i Chicago 7 dovettero affrontare tra il settembre 1969 e il febbraio 1970.
Diretto e sceneggiato da Aaron Sorkin, Il processo ai Chicago 7 si basa su eventi realmente accaduti e racconta le conseguenze a cui è andata incontro una manifestazione, nelle intenzioni pacifiche, durante il congresso nazionale democratico del 1968, anno in cui gli Stati Uniti sono in subbuglio, Martin Luther King è stato assassinato a Memphise Robert F. Kennedy a Los Angeles, le guerra in Vietnam è al suo apice e costa la vita a circa mille soldati al mese mentre il bilancio complessivo parla di oltre 30 mila vittima solo americane. Nel mese di agosto, decine di manifestanti si riuniscono per protestare fuori dal Congresso democratico a Chicago. L'intervento delle forze dell'ordine con gas lacrimogeni trasforma la protesta in qualcos'altro e l'anno successivo, otto attivisti - gli studenti Tom Hayden e Rennie Davis, gli hippy Abbie Hoffman e Jerry Rubin, gli organizzatori del MOBE David Dellinger, John Froines e Lee Weiner, e il presidente dei Black Panther Bobby Seale - vengono processati per cospirazione e istigazione alla rivolta. William Kunstler, noto avvocato per i diritti civili, lavora per difendere il gruppo dalle accuse mosse dalla nuova amministrazione repubblicana che mira a soffocare e mettere a tacere il movimento. Il mondo intero guarda gli imputati affrontare un giudice ingiusto durante uno dei processi più bizzarri e importanti della storia moderna americana, quello che i mass media chiamano "il processo ai Chicago 7".
Con la direzione della fotografia di Phedon Papamichael, le scenografie di Shane Valentino, i costumi di Susan Lyall e le musiche di Daniel Pemberton, Il processo ai Chicago 7 nasce da un progetto che aveva in mente Steven Spielberg, come ricorda lo stesso Sorkin: "A metà Duemila, Spielberg mi ha contattato per discutere di un progetto che aveva in mente. Voleva che scrivessi una storia intorno a una cospirazione che nel 1969 ebbe luogo a Los Angeles. Non ne sapevo molto. Appena in macchina, chiamai mio padre e chiesi a lui informazioni, scoprendo una realtà inaspettata. Ho cominciato allora a fare le mie ricerche personali. Sono partito dagli atti processuali, ho letto un bel po' di libri sulla rivolta e sul processo e ho incontrato un testimone diretto degli eventi, Tom Hayden (morto purtroppo nel 2016, prima che il film vedesse la luce). Alla fine, avevo raccolto poche informazioni e avevo bisogno dell'aiuto di qualcuno più esperto di me. Ho contattato di conseguenza il regista Paul Greengrass, che mi ha invitato a Londra per discutere della sceneggiatura".
"Da allora, ho lavorato per due anni alla sceneggiatura di Il processo ai Chicago 7", ha aggiunto il regista. "Per la prima volta, mi cimentavo con una storia su commissione in cui dovevo parlare di eventi realmente accaduti. Ho scelto, su consiglio di Greengrass, di concentrarmi sul personaggio di Tom e sulle dinamiche del suo rapporto con Abbie Hoffman: fratelli separati alla nascita, non si capivano ma perseguivano lo stesso scopo. Una volta ultimata la sceneggiatura, il progetto si è arenato fino a quando Spielberg, all'indomani delle elezioni del 2016 con tutto il caos politico che hanno generato, mi ha proposto di curare io stesso la regia. Ho accettato con in mente un solo obiettivo: il mio film, lungi dall'essere un documentario, sarebbe stato come un quadro o una fotografia degli eventi. Si sarebbe concentrato sulla discriminazione razziale, sulle ingiustizie sociali e sul modo in cui il nostro governo ha trattato le proteste contro. Pur avvenendo 50 anni fa, i fatti di Chicago hanno eco ancora oggi e le questioni in ballo risuonano ancora nel movimento Black Lives Matter e nelle proteste contro la brutalità della polizia di oggi".
Il regista si serve poco della finzione; si basa invece sulle trascrizioni delle udienze dibattimentali di quello che è stato uno dei più grandi processi politici della storia americana. Difficile non notare come agli imputati venga negato il diritto ad un equo processo davanti ad un giudice di parte già pienamente propenso a condannarli. 041b061a72